Nuove obbligazioni

giovedì 28 aprile 2011

Bozza conto energia: una figuraccia internazionale?


IL SOLARE HA CREATO OCCUPAZIONE E ATTRATTO INVESTIMENTI
In controtendenza rispetto alle tradizioni italiane, nazione che poco attira gli investimenti esteri, il settore economico del fotovoltaico ha portato nel nostro paese aziende internazionali.
Non solo, perché ha anche creato occupazione per gli italiani.
Fin qui tutto bene, ma come al solito c’è l’amaro rovescio della medaglia.
Giusti gli incentivi e gli investimenti attratti con essi, ma altrettanto indispensabile sarebbe essere lungimiranti non solo nel breve, ma anche nel lungo termine. E quindi continuare a favorire il settore, anche con strumenti diversi da quelli usati all’inizio.
Un po’ come avviene per un’azienda appena fondata, alcune fonti di finanziamento sono adatte nelle prime fasi di vita, poi si deve passare ad altro una volta che si è ben avviati.
Insomma, qualunque siano gli strumenti, andavano prospettati scenari nel futuro, quando si è deciso di incentivare la produzione di energia solare fotovoltaica.
Invece, a quanto si percepisce dalle opinioni di alcuni operatori del settore questa lungimiranza non sembra esserci stata.
Se tali opinioni saranno fondate o meno non si può ancora dire con certezza, dato che il nuovo conto energia non è ancora realtà, ma vi è solo una bozza da approvare.
E ciò che gli interessati lamentano è anche la lentezza in queste decisioni: la tematica del nuovo conto energia viene continuamente procrastinata, e all’incertezza dei suoi contenuti e delle prospettive che questi potranno creare, si aggiunge l’incertezza sui tempi e sulla tempestività, facendo preoccupare così un intero settore produttivo.

NON SI POTEVA PREVEDERE PRIMA?
Si doveva soprattutto valutare la sostenibilità degli incentivi, attenuando gli effetti di un improvvisa chiusura dei rubinetti statali.
Si è creato un settore e ora si rischia di rallentarlo di colpo, se le preoccupazioni dei soggetti coinvolti si rivelassero fondate.
Gli sforzi pagati direttamente dal consumatore in bolletta verrebbero sprecati.
E che dire della brutta figura all’estero: alcune aziende straniere hanno già deciso di aprire un contraddittorio internazionale per perseguire l’Italia, dato che rischiano di vedere vanificati i propri investimenti.
Quindi qualcosa che non va sembra in effetti esserci, ma l’unica cosa certa per il momento è proprio l’incertezza sul nuovo documento che regolerà il settore.
Anche l’UE sembra voler bacchettare l’Italia in merito, visto che il suo comportamento pare essere in contrasto con il sostegno agli investimenti internazionali, che l’Italia dovrebbe continuare a sostenere secondo il Trattato di Lisbona.
Ora si spera in decisioni utili da parte del Governo, in un momento in cui le opinioni possono essere giuste o sbagliate, vista la novità di un settore in cui l’esperienza è per tutti limitata a pochi anni.
Si spera che si risolva il tutto, ma la domanda è sempre la stessa: non si poteva prevedere e soprattutto gestire con tranquillità prima che accadesse?

sabato 23 aprile 2011

Non solo fortuna, agli italiani il gioco piace davvero: 1000 euro all’anno alle slot machines


PREMI AL GOVERNO
Certo si può discutere sulle opinioni a livello morale, ma non sul buon risultato economico ottenuto dalla legalizzazione del gioco in Italia.
Senza che nemmeno ce ne rendessimo conto, abbiamo speso il 7% dei nostri consumi giocando alle macchinette, o al lotto.
Un settore che è cresciuto così tanto proprio grazie al fatto di essere diventato regolamentato e promosso sotto il controllo della legalità.
Da tutti questi ricavi, stimati nel 2010 pari all’enormità di 800-900 miliardi di euro, lo Stato ha così ricavato una importante entrata, senza creare nuove tasse.
E, cosa incredibile, senza creare malcontento, perché il gioco è richiesto, non c’è bisogno di imporlo. Sono gli appassionati a pagare in modo volontario per soddisfare la propria passione.
Le modalità inoltre consentono di prelevare le tasse in maniera indolore: nessuno si lamenta dell’aumento dei prezzi del lotto, dove ciascuno scommette quanto desidera di propria volontà.
E naturalmente si può anche decidere di non scommettere proprio nulla durante tutto l’anno, se non si è avvezzi al gioco, sono scelte e preferenze personali.
Così si accontentano gli italiani, che possono dedicarsi ad un hobby così gradito, e lo Stato, che ricava denaro per le proprie necessità.
Come in tutti i casi basta ovviamente non esagerare, ma almeno le regole vanno a garantire la sicurezza di chi gioca, evitando truffe e illegalità.
Da tenere sotto controllo rimane ovviamente il problema sociale di chi esagera.
L’atmosfera di legalità garantita dal controllo statale del gioco sembra comunque favorire il divertimento di chi scommette ogni tanto, e attenuare i guai che sorgerebbero se invece alcuni cadessero nella rete di operatori non regolamentati.

PICCOLE CIFRE E PRIMATI PROVINCIALI
Anche le piccole somme richieste per scommettere tutelano i giocatori, che vanno a scommettere in luoghi pubblici e sicuri, come il solito bar frequentato da anni.
Ovviamente ogni scelta ha i suoi pro ed i suoi contro, e non mancano i giocatori cronici, ma la possibilità di giocare pochi centesimi su una new slot, come vengono definite, attenua sicuramente il rischio di finire enormi cifre in breve tempo. Certo il problema va seguito comunque con attenzione.
Ma il grande successo di questi giochi non è dovuto ai giocatori incalliti, quanto invece all’allargamento a tutti dell’accesso alle scommesse.
Persone che giocano pochi euro solo per tentare la fortuna, e che però senza rendersene conto continuano a giocare regolarmente, soprattutto finchè non vincono qualcosa. Anche se vincono meno di quanto giocato, probabilmente è proprio il piacere di vincere qualcosa che spinge a continuare.
Ad esempio vincere proprio nel momento giusto da sicuramente soddisfazione, dato che magari quella piccola somma arriva proprio quando ci può risolvere un guaio.
Ciò che sembra un’impresa è assorbire il 7% di una spesa in consumi delle famiglie.
Questo considerando che i consumi privati non sono molto dinamici e da sempre sono poco trainanti, in un’economia trascinata invece dalla spesa dello Stato.
Conquistarsi una fetta così importante della spesa privata è quindi un risultato di tutto rilievo.
In soldoni ciò cosa significa?
Vuol dire che ogni italiano in media spende 1000 euro all’anno per giocare, con la cifra prevista in crescita nel 2011 (i dati sono del 2010).
Curioso sapere la distribuzione tra le province: è Pavia quella dove si spende di più, addirittura 2000 euro. Segue Como ed altre zone del centro nord.
Agli ultimi posti il sud, dove Enna risulta spendere mediamente 436 euro per abitante.
Tutto ciò emerge da una ricerca del Sole 24 Ore, su dati dei Monopoli di Stato e dell’Agicos, l’Associazione Giornalistica Concorsi e Scommesse.

mercoledì 20 aprile 2011

Tassi nominali, inflazione e tassi reali: come dal c/c tradizionale si passa al conto deposito online e come internet ha cambiato le abitudini in banca


I TASSI ITALIANI A DOPPIA CIFRA E L’EURO
Se negli anni ’80 era possibile ricevere cedole ed in generale interessi superiori al 10% sui depositi, l’entrata nella moneta unica ha portato tassi di interesse più stabili ma anche più bassi.
E così l’Italia passava da tassi molto alti, e dalla relativa inflazione che li erodeva, a tassi meno eccessivi, e alla relativa inflazione molto più bassa.
La questione è solo di immagine, o se vogliamo di abitudine: i tassi erano alti, ma lo era anche l’inflazione. Dato che l’interesse reale è uguale al tasso nominale, ovvero quella cifra percentuale a doppia cifra, diminuita dell’inflazione, ciò che rimaneva di guadagno reale non era così tanto come poteva sembrare.
Con tassi nominali inferiori quindi, avendo anche un’inflazione in proporzione più esigua da sottrarre, il risultato non è forse così minuscolo, anche se probabilmente è diminuito, forse anche di molto rispetto a molti anni prima.
Ma il conto va comunque fatto tenendo in considerazione l’inflazione, perché sia concettualmente corretto.
Certo vedere certe cifre faceva scena, e a molti sembrava di guadagnare davvero il 10-15% di interesse. Non si rendevano conto che anche l’inflazione era alta in proporzione.

L’EFFETTO SUI CONTI CORRENTI E L’AVVENTO DEI CONTI DEPOSITO ONLINE
Evidentemente comunque anche i tassi di interesse reali si erano drasticamente abbassati, dando però il vantaggio di un’inflazione più controllata e di una politica monetaria più stabile, grazie alla forza dell’unione di diversi stati europei.
I rendimenti però sono di lì in poi divenuti minori per le banche che prestavano il denaro, nella loro tipica attività quotidiana.
Quindi anche i tassi offerti per raccogliere il denaro tra il pubblico dei correntisti sono stati abbassati, fino a giungere allo zero.
In contemporanea cresceva però il canale internet, che permetteva di offrire conti correnti e conti deposito online, risparmiando su una voce di costo molto importante, quello delle filiali fisiche delle banche.
Il canale internet è infatti snello e meno costoso per le banche, e per chi ha competenze per accedervi ed investire attraverso questo strumento innovativo, tornano ad essere offerte remunerazioni sulla liquidità.
Partono così le campagne pubblicitarie famose, come quelle del Conto Arancio, che senza aprire sportelli fisici riesce ad imporsi sul mercato italiano raccogliendo denaro tra il pubblico e restando forse il più conosciuto dei conti deposito anche tuttora, pur essendo promosso da una banca estera, prima non conosciuta al grande pubblico.
Con gli anni molti istituti offrono così conti deposito su internet, facili da aprire e gestibili trasferendo denaro dal proprio conto corrente, con vaste possibilità di scelta tra le varie banche.
Ma l’effetto di immagine di un rendimento percentuale più grande rimane una grande leva pubblicitaria.
Se i tassi di mercato a breve sono esigui, come avvenuto ultimamente, offrire i conti deposito pubblicizzando tassi del 2%, o magari anche dell’1% attirava molto meno di adesso, dove si sono tornate a vedere cifre anche del 3%. E quindi anche l’offerta di conti deposito sembra destinata ad ampliarsi.

lunedì 11 aprile 2011

Le importazioni cinesi superano l’export, buone notizie in arrivo per l’Italia?


IL RISULTATO DI UNA MONETA DEBOLE
Non un dato di mercato, ma una situazione che tra gli esperti di macroeconomia è noto essere causata artificialmente.
Lo yuan, chiamato anche renbimbi, ovvero la moneta nazionale della Cina, è da parecchi anni oggetto di diatribe, soprattutto da parte degli Stati Uniti.
Gli USA infatti, sono molto toccati dalla questione delle esportazioni cinesi, essendo gli loro stessi uno dei grandi esportatori a livello mondiale.
E ovviamente la moneta cinese, debole rispetto alle altre monete, fa in modo che chi acquista merci dalla Cina trovi condizioni vantaggiose, poiché pagando con la sua valuta, debole rispetto allo yuan cinese, può avere maggiore potere d’acquisto rispetto a chi deve cambiare la propria moneta ad esempio in dollari USA.
Nel tempo l’America si è lamentata più volte della situazione, ma il governo cinese ha sempre cercato di resistere, continuando ad applicare questa politica monetaria sui cambi.
Ciò ha aiutato la Cina nella continua espansione sui mercati mondiali, garantendo la grande crescita che la sua economia ha avuto in questi ultimi anni.
E sicuramente una moneta debole verso le altre ha giocato un ruolo fondamentale in un sistema economico come quello cinese, basato sulle esportazioni verso il resto del mondo.
Da qui le lamentele americane, dove le esportazioni giocano anche in tal caso un ruolo rilevante sulla ricchezza del paese.
Ovviamente le esportazioni cinesi sono in concorrenza con quelle di tutti gli altri stati mondiali, però ovviamente l’impatto sui singoli paesi dipende da quanto questi ultimi dipendano dall’export.
Artificiale o no, a questione della svalutazione del renbimbi riguarda tutti i grandi paesi esportatori.

MA LE IMPORTAZIONI CINESI HANNO SUPERATO COMUNQUE LE ESPORTAZIONI
Nonostante tutto il primo trimestre 2011 vede un’inversione di marcia da alcuni non così inatteso.
Questo è ciò che si evince da un articolo pubblicato da CNN Money, dove sembra che la Cina giustifichi le maggiori importazioni con la minore produzione dovuta alle festività presenti in Cina nel mese di febbraio, oltre che con il fatto che tradizionalmente secondo alcuni analisti la Cina esporti di meno nel primo trimestre dell’anno.
In definitiva è successo che la Cina ha importato più di quello che ha esportato, per la prima volta dopo sette anni.
Rispetto alla rilevazione del primo trimestre dello scorso anno, le esportazioni sono aumentate del 26,5%, ma ciò non è bastato a contrastare un aumento delle importazioni che sono cresciute del 32,6%, oltre che fissare un nuovo record di 400,66 miliardi di dollari.
Sembra che per il mese di marzo 2011 la bilancia commerciale cinese torni almeno leggermente in territorio positivo.
Ma il dato potrebbe far pensare che l’economia cinese non sta più solamente vendendo i suoi prodotti all’estero, ma sta anche acquistando sempre più massicciamente dagli altri stati.
D’altra parte una crescita così forte come quella cinese richiede import di energia e materie prime, non essendo sufficienti quelle cinesi. Ma ciò era già noto.
La vera novità sarebbe l’import di prodotti di altro genere, come quelli destinati ai privati ed alle famiglie in generale, cosa che sicuramente renderebbe felici le aziende di stati europei come l’Italia, se l’arricchimento della popolazione cinese consentisse ad esempio l’acquisto di prodotti di alta moda o di auto. E sembra che ciò possa accadere e stia in parte già succedendo.

venerdì 8 aprile 2011

Contraddizioni dalla green economy: i pipistrelli fanno risparmiare miliardi di dollari agli agricoltori USA, ma le turbine eoliche li mettono a rischio


I PIPISTRELLI VALGONO MINIMO 3,7  MILIARDI DI DOLLARI
Potrà far sorridere questa curiosità, ma a tanto ammonta la cifra valutata dall’USGS (U.S.Geological Survey), che ha stimato in pratica i benefici donati al settore agricolo americano da questi animali.
Questi volatili svolgono infatti un ruolo benefico per le coltivazioni, eliminando gli insetti dannosi che altrimenti costituirebbero una voce di spesa rilevante, considerato il costo dei pesticidi e dei prodotti che senza i pipistrelli dovrebbero essere impiegati dagli agricoltori.
Tale costo è stato appunto stimato essere almeno pari ai 3,7 miliardi di dollari americani, ma potrebbe anche essere molto maggiore, dato che in effetti l’USGS ha proposto un’ampia forchetta di prezzo, che parte dal minimo di 3,7 arrivando addirittura ad un possibile valore massimo di ben 53 miliardi di dollari l’anno.
Questo il costo risparmiato grazie alla capacità dei pipistrelli di nutrirsi di insetti dannosi per le coltivazioni, e quindi di eliminarli in modo naturale, senza alterare l’ecosistema. 
La ricerca è stata condotta dall’USGS in collaborazione con scienziati delle Università di Pretoria, del Tennessee e di Boston.


PERCHE’ CI SI E’ POSTI QUESTO PROBLEMA
La ricerca riveste carattere di utilità perché la preoccupazione sono i vari fattori che stanno uccidendo e quindi facendo diminuire la popolazione dei pipistrelli.
A parte le malattie che in questi ultimi tempi tendono a colpire questi volatili, una grande preoccupazione è costituita da un elemento dell’economia verde, in forte sviluppo, in particolar modo negli USA dopo che il Presidente degli Stati Uniti Obama ha chiaramente cominciato a puntare su questo settore economico.
Non sono infatti solo i pannelli solari a proliferare, ma anche le pale eoliche.
I generatori eolici hanno purtroppo il difetto di prendere in trappola e uccidere i pipistrelli, e quindi l’allerta è montata sul valore economico di questi volatili, oltre che al problema ambientale verso questi animali.
Serve quindi una soluzione, altrimenti non solo si rischia di sterminare gli animali, ma anche di attenuare gli apprezzabili effetti benefici delle energie alternative.
Certo si inquina di meno, ma i costi economici potrebbero controbilanciare almeno in parte i risparmi nella produzione di energia, dato il valore stimato dei pipistrelli per l’economia USA.

domenica 3 aprile 2011

Parmalat, l’Italia pagherà con la stessa moneta


L’ETERNA QUESTIONE DEGLI AIUTI DI STATO
Il dibattito torna ciclicamente in auge, e probabilmente non se ne verrà mai a capo.
Forse perché in certe questioni ci vorrebbe tatto ed equilibrio, mentre non sembra possibile risolverle con estremismi.
L’Italia purtroppo è spesso invischiata in questioni di questa risma, e ciò non è un buon segno, perché significa che le aziende italiane hanno sempre maggiore difficoltà a difendersi autonomamente sul libero mercato.
L’ultimo caso è appunto Parmalat, che dopo essere tornata in buona salute dopo le note vicende di alcuni anni fa, rischia ora di passare in mani straniere senza potersi difendere, anche se si è rimessa in sesto.
Non apriamo qui una ricerca delle possibili cause che provocano problemi del genere soprattutto alle aziende italiane, ma vediamo quanto propone il Ministro dell’Economia Tremonti riguardo alla scottante attualità economica targata Parmalat.

QUANTO UNO STATO PUO’ INTERVENIRE? CE LO DICE LA NORMATIVA FRANCESE
Questa la nostra interpretazione delle affermazioni di Tremonti.
In pratica Parmalat è sotto attacco da parte di una grande azienda francese, Lactalis, e Giulio Tremonti ha pensato di giocare con le norme degli avversari.
L’idea è quella di “restituire pan per focaccia”. A parte i coloriti proverbi popolari, il Ministro italiano pensa che se in Francia lo stato può investire attraverso un fondo statale, seppur aperto all’iniziativa privata, altrettanto si può fare in Italia.
Oltretutto la garanzia del funzionamento della strategia è data, ironia della sorte, proprio dalla Francia.
Se la Francia può farlo, l’Unione Europea deve consentirlo anche agli altri stati, Italia compresa, oppure impedirlo a tutti, compresa la Francia.
Ironicamente Tremonti dice di voler inoltrare il testo della richiesta all’UE, scrivendo la legge in lingua francese, in sostanza prendendo spunto pari pari dal testo in vigore in Francia.
Se l’idea di Tremonti funzionerà, probabilmente si avranno partecipazioni pubbliche anche in Parmalat, con lo stato che investirà magari attraverso la CdP, Cassa Depositi e Prestiti, istituto a controllo pubblico, come già accade ad esempio in Eni.  
Non si potrà comunque fare a meno di partecipazioni private di tipo industriale, per il bene della gestione appunto industriale di aziende come Parmalat.

sabato 2 aprile 2011

L’oro nero dell’Italia sta finendo


LA CAPACITA’ DI RISPARMIO STA DIMINUENDO
Già lo sapevamo che l’Italia ha poche risorse naturali, ma non sono quelle che si stanno esaurendo.
Assieme a paesi evoluti come il Giappone, l’Italia ha storicamente detenuto un primato economico, forse proprio perché ha alcune similitudini con questi stati.
Una somiglianza la troviamo ad esempio nella struttura della piramide della popolazione, ovvero quel grafico ben noto in statistica e che nel caso italiano non è più definibile come piramide.
Gli anziani sono infatti in numero maggiore rispetto ai sempre più rarefatti strati giovani della popolazione italiana.
E maggior anzianità dovrebbe significare più saggezza. Dal punto di vista delle abitudini di risparmio, ciò dovrebbe corrispondere a una maggiore stabilità e propensione al risparmio, appunto.
Però questo comporta anche il rovescio della medaglia, con i redditi degli anziani costituiti dalle pensioni, ed i redditi dei giovani generati da retribuzioni sempre più precarie.
I dati sconcertanti provenienti da un ricerca di Confcommercio ci portano infatti cattive notizie.
L’Italia forse non ha più questo vantaggio, e non è poco, dato che stiamo parlando di uno dei fattori più importanti, anzi forse il maggiore, su cui si fonda l’economia italiana, basata sulla famiglia e sui suoi risparmi.
Le banche italiane in passato basavano le proprie fortune soprattutto su questa propensione a risparmiare, e di conseguenza ad investire i propri risparmi personali.
Ora i risparmi rimangono, ma la loro netta diminuzione nel corso degli ultimi anni deve senz’altro farci allarmare e soprattutto bisogna fare qualcosa data l’importanza di questo parametro.
Il risparmio italiano attraeva, a questo punto si può dire soprattutto in passato, le banche estere.
Di conseguenza il sistema bancario italiano per anni si è difeso dall’entrata di banche straniere, per poi dover cedere almeno in parte alle pressioni.

LE CIFRE
Ed eccolo il dato di cui parliamo: - 60% di risparmi dal 1990 ad oggi.
Non è il 6%, e nemmeno il 10%, ma ben il 60%, una differenza enorme in una delle leve più importanti dell’economia nazionale.
Confcommercio ipotizza infatti che se nel 1990 il risparmio delle famiglie era pari a 23 euro ogni 100 euro di reddito, oggi la quota destinata al risparmio scende appunto di più della metà, cioè passa a 10 euro.
Se l’esaurimento delle riserve di petrolio potrebbe allarmare il mondo intero, allo stesso modo l’esaurimento della capacità di risparmio dovrebbe preoccupare l’Italia tutta.

venerdì 1 aprile 2011

La scala dei rating ed i tassi di interesse portoghesi


IL RATING BBB- DEL PORTOGALLO
Esiste un limite oltre cui le obbligazioni divengono improvvisamente più rischiose.
Lo stato del Portogallo, rifiutando ogni aiuto internazionale, sta in questi giorni sfiorando pericolosamente questa soglia di pericolo.
Per poter raccogliere denaro emettendo obbligazioni, il Portogallo deve infatti pagare agli obbligazionisti tassi esorbitanti ed inusuali per uno stato, almeno per quanto riguarda una nazione occidentale.
Parliamo infatti di tassi di interesse che superano l’8% su scadenze di 5 anni, mentre analogo discorso avviene per scadenze più lunghe, come i 10 anni, dove il tasso è simile, ed anzi leggermente inferiore. Anche su tale differenziale vi sarebbero ipotesi da fare, ma non vogliamo qui complicare il discorso.
Emettere bond con scadenze oltre i 5 anni risulta davvero dispendioso per il Portogallo, considerando che sarebbe veramente difficoltoso anche per Grecia ed Irlanda, che hanno comunque già ottenuto l’aiuto concreto dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale.
Questo perché da poco l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha declassato il giudizio di merito creditizio del Portogallo, ovvero il cosiddetto “rating”, all’ultimo gradino della categoria investment grade.
Tale giudizio di rating è costituito dalla classe BBB-, e un ulteriore peggioramento della valutazione porterà il Portogallo nella macro classe di rating inferiore, quella denominata “speculative grade”.

LE CONSEGUENZE DEL DECLASSAMENTO A “SPECULATIVE GRADE”
L’occasione è opportuna per descrivere il funzionamento dei rating e soprattutto le conseguenze del passaggio alla categoria speculativa: infatti abbiamo una classe “investment grade” dove sono raccolte le aziende o gli stati ed in generale gli emittenti di bond meno rischiosi.
Questa fascia di giudizi va dal migliore, la classica AAA delle obbligazioni Bei, oppure degli stati più solidi, come la Germania o gli USA alla classe BBB-, quella dove si trova ora il Portogallo.
Tra questi due estremi troviamo generalmente gli stati occidentali più industrializzati, come anche l’Italia, ed anche parecchie banche ed aziende, ad esempio Banca Intesa oppure Eni.
Al di sotto della BBB- inizia la categoria di obbligazioni definite “speculative”, poiché risulta sensibilmente rischioso l’investimento in tali strumenti finanziari rispetto alle investment grade. Sono quindi strumenti adatti a chi ha una maggior propensione al rischio, ed investendo ad esempio solo una piccola percentuale del proprio portafoglio.
Il limite inferiore di tale classe arriva fino alle obbligazioni di emittenti sull’orlo del fallimento, ove si parla anche di titoli “spazzatura”, chiamati anche junk bonds. Facevano parte di tale categoria per esempio, i titoli dell’Argentina nel periodo della crisi del debito, con rating C o addirittura D.
All’interno di queste due categorie le sfumature sono comunque ampie, dato che con giudizi attorno alla BBB troviamo anche aziende italiane dotate di buona solidità, per quanto non certamente affidabili come un grande stato sovrano, che merita quindi di stare nella categoria investment grade.
Le conseguenze di passare allo stadio di speculative grade, soprattutto per un emittente sovrano come il Portogallo, sono rilevanti, come dicevamo sopra.
Questo perché i grandi fondi di investimento hanno regole che impongono di investire la maggior parte del portafoglio in titoli di classe investment grade, e quindi non potrebbero più acquistare titoli del Portogallo.
Analoghe norme vigono per banche e assicurazioni, che anche in rispetto dei parametri di Basilea non possono detenere in portafoglio obbligazioni troppo rischiose, come quelle speculative grade, oltre a certi limiti.
Questo rischia ovviamente di generare pericolose reazioni a catena, poiché l’emittente che passa in stato speculative grade può raccogliere fondi con enormi difficoltà rispetto al passato, amplificando ancor di più il suo stato di difficoltà.