Nuove obbligazioni

martedì 30 agosto 2011

Finanza e solidarietà, binomio possibile nella granda


Lontano dalle solite discussioni della grande città milanese e non solo, paesi piccoli ma vitali vedono nascere iniziative non usuali.
Siamo nella provincia granda, espressione con cui sovente si indica la provincia di Cuneo, zona ricca dei tipici piccoli comuni che caratterizzano la regione Piemonte.
In uno di questi comuni, Cherasco, la locale banca, facente parte del gruppo delle Banche di Credito Cooperativo, propone un modello di solidarietà semplice, ma allo stesso tempo poco o per nulla praticato, almeno a quanto ci risulta, nella nazione italiana.
Anche in questo frangente ci troviamo infatti a recensire una obbligazione, ma la particolarità dello strumento ideato dalla BCC di Cherasco è che lo 0,50% del tasso di interesse che questa paga all’investitore, viene trattenuto e donato direttamente ad un’opera benefica.
Lodevole anche il tasso stesso, in un momento nel quale molte blasonate banche italiane collocano obbligazioni con interessi più esigui sulla stessa scadenza, e manco a dirlo, senza fare certo beneficenza.
L’obbligazione, emessa infatti all’inizio di giugno di questo 2011, ha una scadenza abbastanza breve, trattandosi di un titolo a 3 anni.
L’interesse annuo corrisposto è interessante, e pari al 3,75%, cui andrà tolto come detto sopra, lo 0,50% che verrà destinato alla costruzione di un reparto di terapia intensiva cardiologica, nel nuovo ospedale di Alba-Bra, sempre quindi nella provincia cuneese.
Rimane a noi il 3,25% annuo di interesse.
Ovviamente ci sono una moltitudine di casi e di obbligazioni collocate, anche in base alle iper volatili condizioni del mercato finanziario attuale.
Ma rimane il fatto che sicuramente a molti sarà capitato di trovare allo sportello della propria banca obbligazioni con tassi spesso inferiori, e di averle magari sottoscritte.
Anche i conti deposito in definitiva non offrono tassi di molto più elevati.
E qui inoltre si tratta di titoli obbligazionari, sottoposti quindi ad una tassa del 12,5% e non del 27% applicato ai conti deposito.
Vanno di converso ricordati anche i difetti: infatti pochi saranno in tutta Italia coloro i quali possono rivolgersi direttamente agli sportelli della BCC di Cherasco, per sottoscrivere queste obbligazioni, a parte chi abita nel territorio servito dalla banca stessa.
Ed ovviamente, un po’ come per altri prodotti, il marchio si paga: un grande e conosciuto istituto bancario può permettersi magari di offrire tassi inferiori, poiché è conosciuto al grande pubblico.
Come sempre ognuno deve comunque decidere in base alla propria situazione ed ai propri gusti, ogni cosa ha i suoi pro ed i suoi contro.
Qui ci limitiamo a dare delle informazioni, che in questo caso sono però molto interessanti per originalità, in un panorama dove spesso si trovano una moltitudine di proposte molto simili tra loro, forse anche troppo.
Ciò non toglie nulla alla bontà dell’iniziativa di questo istituto, con un’innovazione finanziaria che in effetti andrà proprio a dare i propri benefici al territorio di competenza della banca.
Il collocamento della prima tranche di 10 milioni di euro ha avuto luogo fino al 29 luglio, mentre in seguito era prevista la possibilità di aumentare ulteriormente il quantitativo di obbligazioni emesse.
Indovinate com’è andata?  
Per saperlo basta leggere la continuazione di questo articolo.

domenica 7 agosto 2011

Problemi tecnici alle borse, qualcuno aveva lanciato l'alert


ALTA VELOCITA’ DEGLI SCAMBI DI BORSA
Metodi quantitativi e sistemi di trading automatico potrebbero inondare gli apparati informatici delle principali borse mondiali.

E' questo ciò che alcuni prevedevano mesi fa, e che in effetti sembrava prevedibile aprendo il nocciolo di quel grande reattore che è un sistema di scambi di borsa e guardandoci dentro.

Una rapida occhiata ad un listino americano, ma anche a titoli azionari dell'indice francese o tedesco restituisce un impatto visivo che non lascia ormai adito a dubbi.

Le lucette che lampeggiano ad una velocità spesso impossibile da seguire, colorate di verde o rosso, all'interno dei nostri software di trading, sembrano particelle atomiche impazzite che sbattono proprio come in reattore atomico.

TRADER CHE NON CONOSCONO LA MACROECONOMIA
Non a caso alcuni tentano di applicare i modelli della fisica delle particelle agli scambi in borsa.

E se una volta gli scambi erano forse dettati da regole più tangibili e magari ancora osservabili da un essere umano, oggi non si capisce più molto.

Anche perchè pochi di questi nuovi trader ad alta frequenza conoscono ed applicano le teorie della macroeconomia, regole in ogni caso poco utilizzabili quando il mercato segue altre ideali completamente differenti.

La moda ad oggi è quella del trading quantitativo, controllato da complicati teoremi di cui nessuno o quasi è a conoscenza. Neanche coloro che li praticano, perchè di frequente si tratta di formule tratte proprio dalla fisica nucleare, oppure nascondono nella loro complessità il vuoto dato dalla mancanza di qualsiasi fondamento scientifico serio.

In mezzo a tutto ciò un esercito di piccoli investitori che assumono rischi enormi senza rendersene conto.

SPECULAZIONE E VOLATILITA’ OVUNQUE
Ma soprattutto le loro miriadi di pc che sputano numeri e li consegnano ai server centrali delle borse.

Numeri che si aggiungono a tutti quelli emessi dai computer degli investitori professionisti e delle grosse banche.

E questi numeri, magari senza senso, sono cresciuti a dismisura, generando tutta quella enormità di scambi anche minuscoli che illuminano il nostro schermo come un albero natalizio.

Oltre ai danni di investimenti inconsapevoli, arriva quindi la grande paura del blocco dei computer, subissati da una quantità di dati enorme anche per la loro grande capacità di calcolo.

Non siamo certi se qualcuno ci abbia pensato in questi giorni, ma pensiamo di si.

Perchè la speculazione e le relative condizioni di mercato che questa sta generando fa scattare chissà quanto di frequente i segnali dei sistemi di trading, e di conseguenza è facile immaginare la moltiplicazione delle negoziazioni e il pernicioso effetto a catena che generano con il contagio di tutte le borse mondiali, ormai così legate dall'immediatezza di comunicazione data della tecnologia attuale.

mercoledì 8 giugno 2011

Chi sono i NEET? Addio effetto ricchezza


TERMINE PRESO DALLE STATISTICHE ANGLOSASSONI
Come spesso accade, anche in Italia arrivano sigle mutuate dal linguaggio inglese o americano.
La definizione stavolta non è però qualcosa di colorito o allegro, ma di preoccupante.
Neet è l’equivalente di un giovane che non lavora, non studia né segue corsi di aggiornamento. E possiamo anche aggiungere, che non cerca nemmeno più lavoro perché scoraggiato dalle evanescenti possibilità offerte in questo frangente in Italia.
Un gruppo ormai non più trascurabile di persone, secondo un’intuitiva definizione costituite da giovani tra 15 e 29 anni, vanno ad accrescere questa categoria, un fenomeno sempre più allarmante, ma conseguenza di tante scelte non proprio azzeccate.
Letteralmente: NEET = Not in Employment, Education and Training.

IL CIRCOLO VIZIOSO DEL NON INVESTIMENTO
E’ scontato che una crisi economica come quella in cui ci troviamo porta a marcati sacrifici.
Ma è davvero solo questo? Oppure la direzione sbagliata è stata impostata già in passato?
Probabilmente le scelte relative al sistema scolastico e universitario erano inadatte alla situazione dell’Italia e continuano ad esserlo.
Non parliamo poi dei contratti di lavoro offerti ai giovani, sempre se così li possiamo chiamare. Ricordiamo infatti che lo stage non è un rapporto di lavoro, tanto per fare un esempio.
Sempre dove esistono almeno queste cose.
Allo stesso modo chi è bravo viene scoraggiato e disincentivato proprio da opportunità così deludenti e soprattutto che non garantiscono quasi nessuna costruzione di carriera.
Anzi nemmeno adattandosi a queste offerte, vi è la sicurezza di poter guadagnare ancora qualcosa guardando al proprio futuro tra 1 anno di tempo. 
A parte il risparmio per le aziende, alcune delle quali sono effettivamente costrette ad assumere con contratti precari a causa della crisi, il risvolto negativo va a distruggere proprio le medesime imprese, in un pericoloso circolo vizioso.  
Circolo vizioso che senz’altro dopo tanto studiare sui libri qualcuno si spera abbia imparato, magari durante qualche lezione di macroeconomia: la mancanza dell’effetto ricchezza blocca gli investimenti. E di questo passo anche le normali spese quotidiane.
Si perché quale giovane si mette a fare investimenti importanti, senza sapere se tra 3 o 6 mesi avrà ancora il lavoro?
Anche se i giovani italiani sono sempre di meno, il problema è pressante, perché se alcuni sono NEET per loro demeriti o sbagli, qualsiasi giovane che abbia buona volontà rischia di essere confuso con chi non ne ha, demoralizzandosi ancora di più.
Qualcuno dovrebbe pensarci, perché se i consumi e gli investimenti diminuiscono sempre più anche le aziende hanno sempre meno soldi per pagare i dipendenti.
E se oggi li assumono in modo precario, dopo come faranno?

sabato 14 maggio 2011

Soffre il commercio al dettaglio. La sorpresa è che soffre meno degli altri settori


LE PREVISIONI DEGLI ANNI SCORSI
E’ da parecchio che si sentono voci riguardo il declino delle piccole attività commerciali, ormai secondo molti declassate da supermercati, grandi catene ed in generale grande distribuzione.
Ma dopo tanti anni di crescita di nuovi centri commerciali, l’esperienza dice davvero questo?
E’ un po’ come la questione delle grandi città: tante comodità, ma alla fine i loro abitanti e soprattutto coloro che ci lavorano durante la settimana non vedono l’ora di trovare pace in località più piccole nei week end.
L’eterna lotta tra qualità e quantità, insomma.
E i centri commerciali sono davvero sostitutivi delle piccole attività, cosiddette di vicinato?
Se nei primi anni di insediamento della grande distribuzione sembrava positiva la risposta a questa domanda, ora forse non è nemmeno negativa, ma è necessario fornire un concetto diverso.
La GDO punta molto sulla quantità, ma è innegabile che non possa sostituire la qualità e la personalizzazione del servizio offerti dai negozi. Anzi, spesso la grande distribuzione manca di qualità, o perlomeno la qualità del servizio è fortemente standardizzata.
Ma l’aspetto che forse non potrà mai essere clonato dai grandi supermercati è la funzione di ritrovo e di riferimento che i piccoli negozi offrono agli abitanti ed ai clienti.
Insomma, un po’ come la grande città è fredda e anonima, così lo sono anche i grandi negozi della GDO, mentre soltanto un’attività di paese o di quartiere può essere più amichevole, come il bar sotto casa.
Si scopre allora che le due categorie di negozi non sono completamente in concorrenza, e che se ognuno lavora lealmente può sopravvivere, ed anzi soddisfare la domanda della clientela, che necessita sia di grandi che di piccole attività commerciali.

ANCHE I DATI ALLA FINE LO CONFERMANO
Notiamo che spesso le statistiche sul commercio al dettaglio venivano citate solo in valore assoluto, ma veniva trascurato il confronto con altri settori.
Questo confronto, come risulta da uno studio di Confcommercio, era ed è fondamentale.
In questo studio infatti si dice che, il piccolo commercio è in declino, ma addirittura meno di tanti altri settori, primo fra tutti l’industria.
Visto così il dato non stupisce nemmeno molto, in un periodo di crisi dove il dato è negativo per tutti o quasi.
Quindi nonostante il segno meno, il dato meno negativo del commercio al dettaglio finisce quasi per essere un risultato positivo.
Spesso il dato più considerato nell’analisi delle piccole imprese è quello della nascita di nuove imprese contro quello delle imprese che chiudono.
In questo frangente in effetti il saldo è negativo, con circa 130000 imprese che chiudono nel periodo di due anni, tra il 2009 ed il 2010, contro le circa 98000 nuove attività.
Quindi il bilancio è negativo per più di 30000.
Ma annebbiati da questo dato, si è probabilmente trascurato il fatto che il valore aggiunto creato da ogni occupato nel commercio al dettaglio è diminuito di circa l’1,5%, cifra in linea con tutto il resto dell’economia italiana.
Stupisce forse ancor di più il dato sull’occupazione: se l’industria ha perso addirittura il 10,5%, e la media nazionale è pari ad un -3,9%, il commercio al dettaglio ha perso ancora meno occupati, con un dato di -2,3%, sempre riferito al 2009-2010, anni come noto, di crisi economica.
Questo è ciò che Confcommercio ha rilevato nel suo studio, e che mostra un settore come previsto in sofferenza, ma non eccessivamente come molti potevano prospettare.
Ed anche alcune catene di supermercati sembrano aver capito che i clienti richiedono sempre di più un contatto più umano e vicino a casa, tanto da aprire nuove piccole filiali nei centri minori.

giovedì 28 aprile 2011

Bozza conto energia: una figuraccia internazionale?


IL SOLARE HA CREATO OCCUPAZIONE E ATTRATTO INVESTIMENTI
In controtendenza rispetto alle tradizioni italiane, nazione che poco attira gli investimenti esteri, il settore economico del fotovoltaico ha portato nel nostro paese aziende internazionali.
Non solo, perché ha anche creato occupazione per gli italiani.
Fin qui tutto bene, ma come al solito c’è l’amaro rovescio della medaglia.
Giusti gli incentivi e gli investimenti attratti con essi, ma altrettanto indispensabile sarebbe essere lungimiranti non solo nel breve, ma anche nel lungo termine. E quindi continuare a favorire il settore, anche con strumenti diversi da quelli usati all’inizio.
Un po’ come avviene per un’azienda appena fondata, alcune fonti di finanziamento sono adatte nelle prime fasi di vita, poi si deve passare ad altro una volta che si è ben avviati.
Insomma, qualunque siano gli strumenti, andavano prospettati scenari nel futuro, quando si è deciso di incentivare la produzione di energia solare fotovoltaica.
Invece, a quanto si percepisce dalle opinioni di alcuni operatori del settore questa lungimiranza non sembra esserci stata.
Se tali opinioni saranno fondate o meno non si può ancora dire con certezza, dato che il nuovo conto energia non è ancora realtà, ma vi è solo una bozza da approvare.
E ciò che gli interessati lamentano è anche la lentezza in queste decisioni: la tematica del nuovo conto energia viene continuamente procrastinata, e all’incertezza dei suoi contenuti e delle prospettive che questi potranno creare, si aggiunge l’incertezza sui tempi e sulla tempestività, facendo preoccupare così un intero settore produttivo.

NON SI POTEVA PREVEDERE PRIMA?
Si doveva soprattutto valutare la sostenibilità degli incentivi, attenuando gli effetti di un improvvisa chiusura dei rubinetti statali.
Si è creato un settore e ora si rischia di rallentarlo di colpo, se le preoccupazioni dei soggetti coinvolti si rivelassero fondate.
Gli sforzi pagati direttamente dal consumatore in bolletta verrebbero sprecati.
E che dire della brutta figura all’estero: alcune aziende straniere hanno già deciso di aprire un contraddittorio internazionale per perseguire l’Italia, dato che rischiano di vedere vanificati i propri investimenti.
Quindi qualcosa che non va sembra in effetti esserci, ma l’unica cosa certa per il momento è proprio l’incertezza sul nuovo documento che regolerà il settore.
Anche l’UE sembra voler bacchettare l’Italia in merito, visto che il suo comportamento pare essere in contrasto con il sostegno agli investimenti internazionali, che l’Italia dovrebbe continuare a sostenere secondo il Trattato di Lisbona.
Ora si spera in decisioni utili da parte del Governo, in un momento in cui le opinioni possono essere giuste o sbagliate, vista la novità di un settore in cui l’esperienza è per tutti limitata a pochi anni.
Si spera che si risolva il tutto, ma la domanda è sempre la stessa: non si poteva prevedere e soprattutto gestire con tranquillità prima che accadesse?

sabato 23 aprile 2011

Non solo fortuna, agli italiani il gioco piace davvero: 1000 euro all’anno alle slot machines


PREMI AL GOVERNO
Certo si può discutere sulle opinioni a livello morale, ma non sul buon risultato economico ottenuto dalla legalizzazione del gioco in Italia.
Senza che nemmeno ce ne rendessimo conto, abbiamo speso il 7% dei nostri consumi giocando alle macchinette, o al lotto.
Un settore che è cresciuto così tanto proprio grazie al fatto di essere diventato regolamentato e promosso sotto il controllo della legalità.
Da tutti questi ricavi, stimati nel 2010 pari all’enormità di 800-900 miliardi di euro, lo Stato ha così ricavato una importante entrata, senza creare nuove tasse.
E, cosa incredibile, senza creare malcontento, perché il gioco è richiesto, non c’è bisogno di imporlo. Sono gli appassionati a pagare in modo volontario per soddisfare la propria passione.
Le modalità inoltre consentono di prelevare le tasse in maniera indolore: nessuno si lamenta dell’aumento dei prezzi del lotto, dove ciascuno scommette quanto desidera di propria volontà.
E naturalmente si può anche decidere di non scommettere proprio nulla durante tutto l’anno, se non si è avvezzi al gioco, sono scelte e preferenze personali.
Così si accontentano gli italiani, che possono dedicarsi ad un hobby così gradito, e lo Stato, che ricava denaro per le proprie necessità.
Come in tutti i casi basta ovviamente non esagerare, ma almeno le regole vanno a garantire la sicurezza di chi gioca, evitando truffe e illegalità.
Da tenere sotto controllo rimane ovviamente il problema sociale di chi esagera.
L’atmosfera di legalità garantita dal controllo statale del gioco sembra comunque favorire il divertimento di chi scommette ogni tanto, e attenuare i guai che sorgerebbero se invece alcuni cadessero nella rete di operatori non regolamentati.

PICCOLE CIFRE E PRIMATI PROVINCIALI
Anche le piccole somme richieste per scommettere tutelano i giocatori, che vanno a scommettere in luoghi pubblici e sicuri, come il solito bar frequentato da anni.
Ovviamente ogni scelta ha i suoi pro ed i suoi contro, e non mancano i giocatori cronici, ma la possibilità di giocare pochi centesimi su una new slot, come vengono definite, attenua sicuramente il rischio di finire enormi cifre in breve tempo. Certo il problema va seguito comunque con attenzione.
Ma il grande successo di questi giochi non è dovuto ai giocatori incalliti, quanto invece all’allargamento a tutti dell’accesso alle scommesse.
Persone che giocano pochi euro solo per tentare la fortuna, e che però senza rendersene conto continuano a giocare regolarmente, soprattutto finchè non vincono qualcosa. Anche se vincono meno di quanto giocato, probabilmente è proprio il piacere di vincere qualcosa che spinge a continuare.
Ad esempio vincere proprio nel momento giusto da sicuramente soddisfazione, dato che magari quella piccola somma arriva proprio quando ci può risolvere un guaio.
Ciò che sembra un’impresa è assorbire il 7% di una spesa in consumi delle famiglie.
Questo considerando che i consumi privati non sono molto dinamici e da sempre sono poco trainanti, in un’economia trascinata invece dalla spesa dello Stato.
Conquistarsi una fetta così importante della spesa privata è quindi un risultato di tutto rilievo.
In soldoni ciò cosa significa?
Vuol dire che ogni italiano in media spende 1000 euro all’anno per giocare, con la cifra prevista in crescita nel 2011 (i dati sono del 2010).
Curioso sapere la distribuzione tra le province: è Pavia quella dove si spende di più, addirittura 2000 euro. Segue Como ed altre zone del centro nord.
Agli ultimi posti il sud, dove Enna risulta spendere mediamente 436 euro per abitante.
Tutto ciò emerge da una ricerca del Sole 24 Ore, su dati dei Monopoli di Stato e dell’Agicos, l’Associazione Giornalistica Concorsi e Scommesse.

mercoledì 20 aprile 2011

Tassi nominali, inflazione e tassi reali: come dal c/c tradizionale si passa al conto deposito online e come internet ha cambiato le abitudini in banca


I TASSI ITALIANI A DOPPIA CIFRA E L’EURO
Se negli anni ’80 era possibile ricevere cedole ed in generale interessi superiori al 10% sui depositi, l’entrata nella moneta unica ha portato tassi di interesse più stabili ma anche più bassi.
E così l’Italia passava da tassi molto alti, e dalla relativa inflazione che li erodeva, a tassi meno eccessivi, e alla relativa inflazione molto più bassa.
La questione è solo di immagine, o se vogliamo di abitudine: i tassi erano alti, ma lo era anche l’inflazione. Dato che l’interesse reale è uguale al tasso nominale, ovvero quella cifra percentuale a doppia cifra, diminuita dell’inflazione, ciò che rimaneva di guadagno reale non era così tanto come poteva sembrare.
Con tassi nominali inferiori quindi, avendo anche un’inflazione in proporzione più esigua da sottrarre, il risultato non è forse così minuscolo, anche se probabilmente è diminuito, forse anche di molto rispetto a molti anni prima.
Ma il conto va comunque fatto tenendo in considerazione l’inflazione, perché sia concettualmente corretto.
Certo vedere certe cifre faceva scena, e a molti sembrava di guadagnare davvero il 10-15% di interesse. Non si rendevano conto che anche l’inflazione era alta in proporzione.

L’EFFETTO SUI CONTI CORRENTI E L’AVVENTO DEI CONTI DEPOSITO ONLINE
Evidentemente comunque anche i tassi di interesse reali si erano drasticamente abbassati, dando però il vantaggio di un’inflazione più controllata e di una politica monetaria più stabile, grazie alla forza dell’unione di diversi stati europei.
I rendimenti però sono di lì in poi divenuti minori per le banche che prestavano il denaro, nella loro tipica attività quotidiana.
Quindi anche i tassi offerti per raccogliere il denaro tra il pubblico dei correntisti sono stati abbassati, fino a giungere allo zero.
In contemporanea cresceva però il canale internet, che permetteva di offrire conti correnti e conti deposito online, risparmiando su una voce di costo molto importante, quello delle filiali fisiche delle banche.
Il canale internet è infatti snello e meno costoso per le banche, e per chi ha competenze per accedervi ed investire attraverso questo strumento innovativo, tornano ad essere offerte remunerazioni sulla liquidità.
Partono così le campagne pubblicitarie famose, come quelle del Conto Arancio, che senza aprire sportelli fisici riesce ad imporsi sul mercato italiano raccogliendo denaro tra il pubblico e restando forse il più conosciuto dei conti deposito anche tuttora, pur essendo promosso da una banca estera, prima non conosciuta al grande pubblico.
Con gli anni molti istituti offrono così conti deposito su internet, facili da aprire e gestibili trasferendo denaro dal proprio conto corrente, con vaste possibilità di scelta tra le varie banche.
Ma l’effetto di immagine di un rendimento percentuale più grande rimane una grande leva pubblicitaria.
Se i tassi di mercato a breve sono esigui, come avvenuto ultimamente, offrire i conti deposito pubblicizzando tassi del 2%, o magari anche dell’1% attirava molto meno di adesso, dove si sono tornate a vedere cifre anche del 3%. E quindi anche l’offerta di conti deposito sembra destinata ad ampliarsi.

lunedì 11 aprile 2011

Le importazioni cinesi superano l’export, buone notizie in arrivo per l’Italia?


IL RISULTATO DI UNA MONETA DEBOLE
Non un dato di mercato, ma una situazione che tra gli esperti di macroeconomia è noto essere causata artificialmente.
Lo yuan, chiamato anche renbimbi, ovvero la moneta nazionale della Cina, è da parecchi anni oggetto di diatribe, soprattutto da parte degli Stati Uniti.
Gli USA infatti, sono molto toccati dalla questione delle esportazioni cinesi, essendo gli loro stessi uno dei grandi esportatori a livello mondiale.
E ovviamente la moneta cinese, debole rispetto alle altre monete, fa in modo che chi acquista merci dalla Cina trovi condizioni vantaggiose, poiché pagando con la sua valuta, debole rispetto allo yuan cinese, può avere maggiore potere d’acquisto rispetto a chi deve cambiare la propria moneta ad esempio in dollari USA.
Nel tempo l’America si è lamentata più volte della situazione, ma il governo cinese ha sempre cercato di resistere, continuando ad applicare questa politica monetaria sui cambi.
Ciò ha aiutato la Cina nella continua espansione sui mercati mondiali, garantendo la grande crescita che la sua economia ha avuto in questi ultimi anni.
E sicuramente una moneta debole verso le altre ha giocato un ruolo fondamentale in un sistema economico come quello cinese, basato sulle esportazioni verso il resto del mondo.
Da qui le lamentele americane, dove le esportazioni giocano anche in tal caso un ruolo rilevante sulla ricchezza del paese.
Ovviamente le esportazioni cinesi sono in concorrenza con quelle di tutti gli altri stati mondiali, però ovviamente l’impatto sui singoli paesi dipende da quanto questi ultimi dipendano dall’export.
Artificiale o no, a questione della svalutazione del renbimbi riguarda tutti i grandi paesi esportatori.

MA LE IMPORTAZIONI CINESI HANNO SUPERATO COMUNQUE LE ESPORTAZIONI
Nonostante tutto il primo trimestre 2011 vede un’inversione di marcia da alcuni non così inatteso.
Questo è ciò che si evince da un articolo pubblicato da CNN Money, dove sembra che la Cina giustifichi le maggiori importazioni con la minore produzione dovuta alle festività presenti in Cina nel mese di febbraio, oltre che con il fatto che tradizionalmente secondo alcuni analisti la Cina esporti di meno nel primo trimestre dell’anno.
In definitiva è successo che la Cina ha importato più di quello che ha esportato, per la prima volta dopo sette anni.
Rispetto alla rilevazione del primo trimestre dello scorso anno, le esportazioni sono aumentate del 26,5%, ma ciò non è bastato a contrastare un aumento delle importazioni che sono cresciute del 32,6%, oltre che fissare un nuovo record di 400,66 miliardi di dollari.
Sembra che per il mese di marzo 2011 la bilancia commerciale cinese torni almeno leggermente in territorio positivo.
Ma il dato potrebbe far pensare che l’economia cinese non sta più solamente vendendo i suoi prodotti all’estero, ma sta anche acquistando sempre più massicciamente dagli altri stati.
D’altra parte una crescita così forte come quella cinese richiede import di energia e materie prime, non essendo sufficienti quelle cinesi. Ma ciò era già noto.
La vera novità sarebbe l’import di prodotti di altro genere, come quelli destinati ai privati ed alle famiglie in generale, cosa che sicuramente renderebbe felici le aziende di stati europei come l’Italia, se l’arricchimento della popolazione cinese consentisse ad esempio l’acquisto di prodotti di alta moda o di auto. E sembra che ciò possa accadere e stia in parte già succedendo.

venerdì 8 aprile 2011

Contraddizioni dalla green economy: i pipistrelli fanno risparmiare miliardi di dollari agli agricoltori USA, ma le turbine eoliche li mettono a rischio


I PIPISTRELLI VALGONO MINIMO 3,7  MILIARDI DI DOLLARI
Potrà far sorridere questa curiosità, ma a tanto ammonta la cifra valutata dall’USGS (U.S.Geological Survey), che ha stimato in pratica i benefici donati al settore agricolo americano da questi animali.
Questi volatili svolgono infatti un ruolo benefico per le coltivazioni, eliminando gli insetti dannosi che altrimenti costituirebbero una voce di spesa rilevante, considerato il costo dei pesticidi e dei prodotti che senza i pipistrelli dovrebbero essere impiegati dagli agricoltori.
Tale costo è stato appunto stimato essere almeno pari ai 3,7 miliardi di dollari americani, ma potrebbe anche essere molto maggiore, dato che in effetti l’USGS ha proposto un’ampia forchetta di prezzo, che parte dal minimo di 3,7 arrivando addirittura ad un possibile valore massimo di ben 53 miliardi di dollari l’anno.
Questo il costo risparmiato grazie alla capacità dei pipistrelli di nutrirsi di insetti dannosi per le coltivazioni, e quindi di eliminarli in modo naturale, senza alterare l’ecosistema. 
La ricerca è stata condotta dall’USGS in collaborazione con scienziati delle Università di Pretoria, del Tennessee e di Boston.


PERCHE’ CI SI E’ POSTI QUESTO PROBLEMA
La ricerca riveste carattere di utilità perché la preoccupazione sono i vari fattori che stanno uccidendo e quindi facendo diminuire la popolazione dei pipistrelli.
A parte le malattie che in questi ultimi tempi tendono a colpire questi volatili, una grande preoccupazione è costituita da un elemento dell’economia verde, in forte sviluppo, in particolar modo negli USA dopo che il Presidente degli Stati Uniti Obama ha chiaramente cominciato a puntare su questo settore economico.
Non sono infatti solo i pannelli solari a proliferare, ma anche le pale eoliche.
I generatori eolici hanno purtroppo il difetto di prendere in trappola e uccidere i pipistrelli, e quindi l’allerta è montata sul valore economico di questi volatili, oltre che al problema ambientale verso questi animali.
Serve quindi una soluzione, altrimenti non solo si rischia di sterminare gli animali, ma anche di attenuare gli apprezzabili effetti benefici delle energie alternative.
Certo si inquina di meno, ma i costi economici potrebbero controbilanciare almeno in parte i risparmi nella produzione di energia, dato il valore stimato dei pipistrelli per l’economia USA.

domenica 3 aprile 2011

Parmalat, l’Italia pagherà con la stessa moneta


L’ETERNA QUESTIONE DEGLI AIUTI DI STATO
Il dibattito torna ciclicamente in auge, e probabilmente non se ne verrà mai a capo.
Forse perché in certe questioni ci vorrebbe tatto ed equilibrio, mentre non sembra possibile risolverle con estremismi.
L’Italia purtroppo è spesso invischiata in questioni di questa risma, e ciò non è un buon segno, perché significa che le aziende italiane hanno sempre maggiore difficoltà a difendersi autonomamente sul libero mercato.
L’ultimo caso è appunto Parmalat, che dopo essere tornata in buona salute dopo le note vicende di alcuni anni fa, rischia ora di passare in mani straniere senza potersi difendere, anche se si è rimessa in sesto.
Non apriamo qui una ricerca delle possibili cause che provocano problemi del genere soprattutto alle aziende italiane, ma vediamo quanto propone il Ministro dell’Economia Tremonti riguardo alla scottante attualità economica targata Parmalat.

QUANTO UNO STATO PUO’ INTERVENIRE? CE LO DICE LA NORMATIVA FRANCESE
Questa la nostra interpretazione delle affermazioni di Tremonti.
In pratica Parmalat è sotto attacco da parte di una grande azienda francese, Lactalis, e Giulio Tremonti ha pensato di giocare con le norme degli avversari.
L’idea è quella di “restituire pan per focaccia”. A parte i coloriti proverbi popolari, il Ministro italiano pensa che se in Francia lo stato può investire attraverso un fondo statale, seppur aperto all’iniziativa privata, altrettanto si può fare in Italia.
Oltretutto la garanzia del funzionamento della strategia è data, ironia della sorte, proprio dalla Francia.
Se la Francia può farlo, l’Unione Europea deve consentirlo anche agli altri stati, Italia compresa, oppure impedirlo a tutti, compresa la Francia.
Ironicamente Tremonti dice di voler inoltrare il testo della richiesta all’UE, scrivendo la legge in lingua francese, in sostanza prendendo spunto pari pari dal testo in vigore in Francia.
Se l’idea di Tremonti funzionerà, probabilmente si avranno partecipazioni pubbliche anche in Parmalat, con lo stato che investirà magari attraverso la CdP, Cassa Depositi e Prestiti, istituto a controllo pubblico, come già accade ad esempio in Eni.  
Non si potrà comunque fare a meno di partecipazioni private di tipo industriale, per il bene della gestione appunto industriale di aziende come Parmalat.

sabato 2 aprile 2011

L’oro nero dell’Italia sta finendo


LA CAPACITA’ DI RISPARMIO STA DIMINUENDO
Già lo sapevamo che l’Italia ha poche risorse naturali, ma non sono quelle che si stanno esaurendo.
Assieme a paesi evoluti come il Giappone, l’Italia ha storicamente detenuto un primato economico, forse proprio perché ha alcune similitudini con questi stati.
Una somiglianza la troviamo ad esempio nella struttura della piramide della popolazione, ovvero quel grafico ben noto in statistica e che nel caso italiano non è più definibile come piramide.
Gli anziani sono infatti in numero maggiore rispetto ai sempre più rarefatti strati giovani della popolazione italiana.
E maggior anzianità dovrebbe significare più saggezza. Dal punto di vista delle abitudini di risparmio, ciò dovrebbe corrispondere a una maggiore stabilità e propensione al risparmio, appunto.
Però questo comporta anche il rovescio della medaglia, con i redditi degli anziani costituiti dalle pensioni, ed i redditi dei giovani generati da retribuzioni sempre più precarie.
I dati sconcertanti provenienti da un ricerca di Confcommercio ci portano infatti cattive notizie.
L’Italia forse non ha più questo vantaggio, e non è poco, dato che stiamo parlando di uno dei fattori più importanti, anzi forse il maggiore, su cui si fonda l’economia italiana, basata sulla famiglia e sui suoi risparmi.
Le banche italiane in passato basavano le proprie fortune soprattutto su questa propensione a risparmiare, e di conseguenza ad investire i propri risparmi personali.
Ora i risparmi rimangono, ma la loro netta diminuzione nel corso degli ultimi anni deve senz’altro farci allarmare e soprattutto bisogna fare qualcosa data l’importanza di questo parametro.
Il risparmio italiano attraeva, a questo punto si può dire soprattutto in passato, le banche estere.
Di conseguenza il sistema bancario italiano per anni si è difeso dall’entrata di banche straniere, per poi dover cedere almeno in parte alle pressioni.

LE CIFRE
Ed eccolo il dato di cui parliamo: - 60% di risparmi dal 1990 ad oggi.
Non è il 6%, e nemmeno il 10%, ma ben il 60%, una differenza enorme in una delle leve più importanti dell’economia nazionale.
Confcommercio ipotizza infatti che se nel 1990 il risparmio delle famiglie era pari a 23 euro ogni 100 euro di reddito, oggi la quota destinata al risparmio scende appunto di più della metà, cioè passa a 10 euro.
Se l’esaurimento delle riserve di petrolio potrebbe allarmare il mondo intero, allo stesso modo l’esaurimento della capacità di risparmio dovrebbe preoccupare l’Italia tutta.

venerdì 1 aprile 2011

La scala dei rating ed i tassi di interesse portoghesi


IL RATING BBB- DEL PORTOGALLO
Esiste un limite oltre cui le obbligazioni divengono improvvisamente più rischiose.
Lo stato del Portogallo, rifiutando ogni aiuto internazionale, sta in questi giorni sfiorando pericolosamente questa soglia di pericolo.
Per poter raccogliere denaro emettendo obbligazioni, il Portogallo deve infatti pagare agli obbligazionisti tassi esorbitanti ed inusuali per uno stato, almeno per quanto riguarda una nazione occidentale.
Parliamo infatti di tassi di interesse che superano l’8% su scadenze di 5 anni, mentre analogo discorso avviene per scadenze più lunghe, come i 10 anni, dove il tasso è simile, ed anzi leggermente inferiore. Anche su tale differenziale vi sarebbero ipotesi da fare, ma non vogliamo qui complicare il discorso.
Emettere bond con scadenze oltre i 5 anni risulta davvero dispendioso per il Portogallo, considerando che sarebbe veramente difficoltoso anche per Grecia ed Irlanda, che hanno comunque già ottenuto l’aiuto concreto dell’Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale.
Questo perché da poco l’agenzia di rating Standard & Poor’s ha declassato il giudizio di merito creditizio del Portogallo, ovvero il cosiddetto “rating”, all’ultimo gradino della categoria investment grade.
Tale giudizio di rating è costituito dalla classe BBB-, e un ulteriore peggioramento della valutazione porterà il Portogallo nella macro classe di rating inferiore, quella denominata “speculative grade”.

LE CONSEGUENZE DEL DECLASSAMENTO A “SPECULATIVE GRADE”
L’occasione è opportuna per descrivere il funzionamento dei rating e soprattutto le conseguenze del passaggio alla categoria speculativa: infatti abbiamo una classe “investment grade” dove sono raccolte le aziende o gli stati ed in generale gli emittenti di bond meno rischiosi.
Questa fascia di giudizi va dal migliore, la classica AAA delle obbligazioni Bei, oppure degli stati più solidi, come la Germania o gli USA alla classe BBB-, quella dove si trova ora il Portogallo.
Tra questi due estremi troviamo generalmente gli stati occidentali più industrializzati, come anche l’Italia, ed anche parecchie banche ed aziende, ad esempio Banca Intesa oppure Eni.
Al di sotto della BBB- inizia la categoria di obbligazioni definite “speculative”, poiché risulta sensibilmente rischioso l’investimento in tali strumenti finanziari rispetto alle investment grade. Sono quindi strumenti adatti a chi ha una maggior propensione al rischio, ed investendo ad esempio solo una piccola percentuale del proprio portafoglio.
Il limite inferiore di tale classe arriva fino alle obbligazioni di emittenti sull’orlo del fallimento, ove si parla anche di titoli “spazzatura”, chiamati anche junk bonds. Facevano parte di tale categoria per esempio, i titoli dell’Argentina nel periodo della crisi del debito, con rating C o addirittura D.
All’interno di queste due categorie le sfumature sono comunque ampie, dato che con giudizi attorno alla BBB troviamo anche aziende italiane dotate di buona solidità, per quanto non certamente affidabili come un grande stato sovrano, che merita quindi di stare nella categoria investment grade.
Le conseguenze di passare allo stadio di speculative grade, soprattutto per un emittente sovrano come il Portogallo, sono rilevanti, come dicevamo sopra.
Questo perché i grandi fondi di investimento hanno regole che impongono di investire la maggior parte del portafoglio in titoli di classe investment grade, e quindi non potrebbero più acquistare titoli del Portogallo.
Analoghe norme vigono per banche e assicurazioni, che anche in rispetto dei parametri di Basilea non possono detenere in portafoglio obbligazioni troppo rischiose, come quelle speculative grade, oltre a certi limiti.
Questo rischia ovviamente di generare pericolose reazioni a catena, poiché l’emittente che passa in stato speculative grade può raccogliere fondi con enormi difficoltà rispetto al passato, amplificando ancor di più il suo stato di difficoltà.